Il Comune di Montodine

Storia e Tradizioni del Comune

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Descrizione

Montodine paese in provincia di Cremona nella regione Lombardia, con circa 2500 abitanti.
Il nome degli abitanti è montodinesi
Montodine si trova a 67 metri sopra il livello del mare
Il prefisso telefonico per chiamare a Montodine è 0373
Il codice avviamento postale è 26010
Codice catastale di Montodine - F681
Il codice ISTAT: 19059

Santo del Paese e feste Paesane:
Il Santo del Paese di Montodine è Santa Maria Maddalena, mentre la Festa Paesana è il 22 luglio
 

Storia del Comune

Da Montodine, in epoca romana, passava la via Regina, strada romana che collegava il porto fluviale di Cremona (la moderna Cremona) con Clavenna (Chiavenna) passando da Mediolanum (Milano).
Risalendo al documento più antico (1023), in cui viene menzionato Castrum de Monte Odano, da cui derivano Muntodano (1034), Muntothanum (1188), si può affermare che il nome attuale del paese si sia formato dall'unione di monte e di un nome personale germanico, forse Odilo (Olivieri) od Odino. Il nome proprio Odano non è attestato, ma potrebbe essere esistito (Boselli). Si ipotizza anche un'altra origine legata alla presenza del fiume Adda, che in latino è denominato Addua. Questo fiume, infatti, anticamente lambiva Montodine, mentre ora scorre nei pressi di Gombito. Traccia dell’antico corso dell’Adda, che si snodava vicino a Montodine, è l’attuale alta costiera, modellata nel tempo dalle acque, che si diparte dall’abitato montodinese e tocca Moscazzano e gli altri paesi vicini. Il fiume Serio, che invece scendeva nei pressi di Castelleone, successivamente, forse in epoca medievale, si immise nella valle cremasca meridionale fino a sfociare nell'Adda, a Boccaserio, una volta attraversato Montodine.

Sulla scorta di più recenti osservazioni l’origine del paese viene rimandata al periodo celtico. Secondo la testimonianza dello scrittore romano Strabone, le popolazioni celtiche vivevano in villaggi sparsi: non è escluso, quindi, che qualche zona più elevata del territorio, posto fra il corso dei due fiumi Adda e Serio, fosse abitata da queste genti. Attestati, invece, sono i legami con la civiltà romana; infatti, secondo studi recenti, si è scoperto che una strada romana, la Via Regina, attraversava le terre montodinesi. Questa via, partendo da Cremona, arrivava a San Latino (e l’antica chiesina, oggi sperduta in mezzo ai campi, dedicata a San Giacomo, protettore dei pellegrini, conferma l’utilizzo dell’arteria in tempi medioevali), raggiungeva il territorio montodinese e proseguiva verso Milano.
Per quanto riguarda il periodo barbarico, recentemente è stato rinvenuto in un fossato di via Roma una stele risalente alla dominazione longobarda.

Si suppone che Montodine fosse soggetta, nell’Alto Medioevo, alla giurisdizione patriarcale di Aquileia, da cui dipendevano 17 diocesi dell’Italia settentrionale, fra le quali Cremona; lo si deduce da due indizi: l’antica usanza nel battesimo di porre i bambini sull'altare e di ritirarli dietro versamento di una somma di denaro come prezzo di riscatto (Visita pastorale di Mons. Regazzoni 1583), e la presenza del culto a S. Zenone Vescovo di Verona (368-380).

Montodine dipendeva dal Vescovo di Cremona non solo nello spirituale ma anche a titolo di possesso feudale, riconosciuto da Enrico IV con suo atto del 16 giugno 1058 e confermato con Bolla di Papa Alessandro II. Bolle successive di altri Pontefici diedero nuova sanzione al diritto di quei vescovi su altre località del territorio nostro. Prima di appartenere ai vescovi, le terre del paese erano state possedimento di una ricca famiglia longobarda di Rivoltella (Ripalta Arpina) da cui uscirono i Capitani di Rivoltella.
Questi le vendettero a Vinizone prete, pure di Rivoltella, dal quale nel 1034 furono cedute al Vescovo di Cremona (Zavaglio).
Tra i vari fatti storici di questo periodo è da menzionare il passaggio, attraverso Montodine verso il porto sull’Adda alla Vinzasca (Gombito), dell’imperatore Federico Barbarossa, il quale, nella seconda discesa in Italia dalla Germania, era diretto con il suo esercito alla Dieta di Roncaglia (Piacenza) il 29 dicembre 1154.
Verso la fine dell’epoca medioevale, Giorgio Benzoni, Signore di Crema, a dimostrazione dell’importanza strategica di Montodine, fece costruire, nel 1407, una torre alta e poderosa a guardia del confine del suo minuscolo stato; i ruderi di questa costruzione erano ancora visibili all’inizio del 1900 quando furono demoliti per far posto all’attuale asilo. In seguito il Cremasco passò sotto la dominazione dei Visconti ed entrò a far parte del Ducato di Milano. Nel 1449 subentrarono i Veneziani che amministrarono il territorio, salva una piccola parentesi, fino all'arrivo delle truppe napoleoniche. Il Governo della Repubblica di Venezia, ritenuto positivo per le terre cremasche, fece sentire i suoi effetti benefici anche a Montodine. A tale proposito, si ricordano due interventi significativi: nel 1646 fu abrogato il divieto di riscuotere la tassa per il transito sul ponte del fiume Serio, che andava a vantaggio della comunità e la deviazione del corso del fiume Serio, nel 1758, che
stava ormai lambendo la torre dei Benvenuti; a metà Settecento, nella relazione della visita pastorale del Vescovo di Crema mons. Lombardi, Montodine appare come un villaggio “degno di apprezzamento per la sua ordinata disposizione, che, presentandosi
per primo a coloro che giungono da Piacenza e da Cremona, mostra, per quanto può un abitato campagnolo, la prosperità del dominio Veneto”.

Nel sec. XVI Montodine fu devastato dai Lanzichenecchi, soldati mercenari tedeschi, che misero tutto a ferro e a fuoco.
Durante la grande peste diffusasi nel 1630-31 e descritta dal Manzoni nel suo celebre romanzo, i Montodinesi, primi nel Cremasco, furono colpiti da questo flagello portato in paese da un loro concittadino, Alessandro Barbiero, il quale aveva ricevuto in dono, a Pizzighettone, da un soldato una palandrana (un vestito) infetta. Nei due anni di pestilenza morirono 254 persone, i cui corpi furono sepolti in vari luoghi: in campagna soprattutto, poi nell’orto, in casa, nel cimitero, nel sacrato.

Un primo fatto d'armi, degno di essere sottolineato, si è verificato nel 1648 tra le milizie venete e quelle francesi. Queste intendevano penetrare nel territorio lodigiano attraverso il Cremasco meridionale, e dovevano forzare Montodine, difeso dal colonnello Mario Benvenuti (Zavaglio).
Memorabile fu lo scontro presso il ponte, che fu segato e fatto crollare prima che i francesi potessero transitarvi. In quel combattimento caddero molti francesi e molti veneti, e l'ossario dei "Morti del Serio raccolse le salme dei caduti nell’aspra battaglia (ancora qualche decennio fa, alcune donne anziane si recavano a recitare il rosario per questi morti sul sentiero dell’argine antistante l’attuale parco). A scongiurare i disastri che le artiglierie e il fuoco potevano arrecare al paese, la popolazione invocò il SS. Crocifìsso, alla cui protezione ascrisse la liberazione dal bombardamento minacciato dai Francesi per rompere la resistenza delle schiere del Benvenuti, determinato a impedire loro il passaggio del fiume. In ricordo dell’episodio si istituì la festa del SS. Crocifìsso, che si celebra solennemente ogni anno il 12 maggio (Zavaglio).

Un altro combattimento accadde nell’ottobre del 1705 tra l’armata imperiale di Eugenio di Savoia e l’esercito del maresciallo di Vendôme; in questa circostanza morirono parecchie centinaia di soldati da ambo le parti.
Da sottolineare fu anche il passaggio, il 12 maggio 1796, attraverso le vie del paese, delle truppe napoleoniche dirette ad occupare la piazzaforte di Pizzighettone.
Nel periodo più recente, durante il secondo conflitto mondiale, si ricordano i bombardamenti degli aerei alleati sul paese e il passaggio delle truppe tedesche in ritirata dal Nord d’Italia.

Montodine ebbe stagioni caratterizzate da un costante incremento demografico (era infatti il paese più popoloso del Cremasco) ed economico, da costruzioni di edifici soprattutto religiosi: cinque furono le chiese innalzate nell’arco di due secoli (XVII- XVIII). Tutta la comunità era coinvolta nell’edificazione dei luoghi di culto: la grande chiesa parrocchiale del XVIII sec. fu infatti eretta grazie alle offerte dei fedeli e anche all’apporto di consistenti contributi economici delle varie confraternite che reggevano i rispettivi oratori. A testimonianza del clima di fervore edilizio che interessò Montodine nei due secoli citati si riporta una descrizione del paese del 1755 contenuta nella relazione della visita pastorale di Mons. Lombardi, vescovo di Crema:

"il villaggio di Montodine, che talvolta si scrive anche Montodeno, il più popoloso di tutti gli altri della campagna cremasca, occupa quella parte del territorio, che il Serio bagna a un miglio dalla confluenza nell’Adda, sorge perciò su ambedue le rive dello stesso Serio, ma soprattutto sulla destra, riva che il paese unisce alla sinistra con un ponte, e abbellisce le sue sponde non solocon edifici sacri ma anche profani, e pure con torri; in realtà è un villaggio degno di apprezzamento per la sua ordinata disposizione, che, presentandosi per primo a coloro che giungono da Piacenza e da Cremona, mostra, per quanto può un abitato campagnolo, la prosperità del Dominio Veneto”.

Montodine, borgo di antiche origini, ha avuto dal passato una ricca eredità di chiese
e oratori. I complessi religiosi, dedicati a San Zeno, a San Rocco, alla Beata Vergine
del Rosario, alla SS. Trinità e a S. Giovanni in località Bocca Serio, sono sorti a corona
del paese sul crinale che separa la valle dell’Adda da quella del Serio. L’Oratorio di
S. Zeno fu costruito nel 1602 sul luogo sacro di una precedente costruzione.

Montodine, paese del Cremasco esistente prima del 1023, conservava nel rito del sacramento del Battesimo la tradizione del versamento di una somma di denaro come prezzo del riscatto. Tale rito derivava dall’appartenenza del paese rivierasco alla Diocesi di Cremona, a sua volta dipendente da Aquileia. Mons. Regazzoni nella visita pastorale del 1582 proibì questa antica consuetudine. Il collegamento con la giurisdizione di Aquileia spiegherebbe il culto antichissimo a S. Zeno, Vescovo di Verona dal 368 al 380, al quale è dedicata una chiesa.
Il paese di Montodine diventerà nel corso dei secoli parte strategica fondamentale dei confini meridionali del Cremasco costituendo il luogo di storiche battaglie legate alle varie guerre europee, che ebbero spesso come teatro questa terra di confine, passaggio obbligato per l’attraversamento dei due fiumi, l’Adda e il Serio.
In particolare interessa ricordare il periodo storico che va dalla fine del Cinquecento alla fine del Settecento, periodo che comprende l’edificazione degli Oratori e la ricostruzione della Parrocchiale di Santa Maria Maddalena Penitente.
Sul crinale che separa la valle del fiume Adda da quella del fiume Serio, a vedetta dell’ingresso del paese, sono sorti gli Oratori dedicati a: San Zeno, San Rocco, Beata Vergine del Rosario, SS. Trinità e in località Bocca Serio, nelle vicinanze della confluenza del Serio nell’Adda, la chiesetta più antica di San Giovanni. Va ricercata una spiegazione simbolica della posizione sugli argini degli Oratori, sorti dopo il 1586 e prima che fosse eseguito il taglio del fiume Serio nel 1749. Il luogo elevato rappresentava il monte sacro, ma era anche una protezione dalle esondazioni dei fiumi e una possibilità di rifugio. Le chiese, commissionate da Confraternite religiose, collegate alle istituzioni madri di Roma, si attestarono tutte sul percorso-crinale che portava all’attraversamento del Fiume Serio, dove era d’obbligo, per poter attraversare il ponte, pagare un pedaggio. Il ricavato di questo balzello era dato alla comunità di Montodine e sicuramente servì a finanziare la costruzione degli edifici sacri in quel periodo storico, così bisognoso di nuove verità, quando gli uomini cercavano di sfuggire al senso di vuoto e di solitudine succeduto alla crisi della Riforma.
Il Seicento fu un secolo di ansie e di insoddisfazioni che trovava nel sentimento del divino e nella coscienza della pochezza umana, la volontà di cogliere il legame tra esigenze etiche e necessità sociali. La risposta della Chiesa a tale situazione fu la convocazione del Concilio di Trento (1545-1563), che riaffermò la dottrina cattolica, il valore di tutti i sacramenti e l’autorità del Pontefice. Sorsero nuovi ordini religiosi, che portarono nella Chiesa un particolare attivismo e una sollecitudine per l’azione educativa e per le opere di carità.
Nelle Confraternite si scelse il motto benedettino: “Ora et labora” per cui si effettuavano momenti di preghiera in comune e aiuti per i bisognosi, con visite individuali al prossimo che si trovava in stato di necessità per alleviarne le pene con soccorsi e conforti.
Gli Oratori di Montodine entrano nella logica di questa spiritualità, che caratterizza e distingue nettamente il Seicento all’epoca precedente, il Rinascimento, e dall’epoca che verrà dopo, l’età dell’Arcadia.
L’uomo del Seicento amava la grandiosità di gesti, la ricchezza delle forme, partecipando a cerimonie, feste, riunioni sociali sfarzose e ricercate. Anche a Montodine gruppi di fedeli hanno lasciato nella storia, in particolare in quella dell’architettura e del paesaggio, un segno visibile del loro operare. Nel medesimo secolo tornò a dominare il principio di autorità, cosicché la povertà interiore venne mascherata dal precetto e dal formalismo.
Nel dicembre del 1563, il Concilio discusse per il riordino liturgico, nella sua ultima sessione, il problema dell’arte religiosa. È San Carlo Borromeo, l’unico autore che applicò al problema dell’architettura le norme del decreto tridentino. Le sue Instructiones Fabricae et Supellectilis Ecclesiasticae, composte subito dopo il 1572, trattano con meticolosità tutti i problemi relativi agli edifici ecclesiastici. Il libro si basa su una convinzione, caratteristica della Controriforma e che doveva assumere un significato anche più importante nel diciassettesimo secolo, che la Chiesa stessa e le funzioni ivi celebrate devono essere il più possibile maestose e solenni, cosicché la loro magnificenza e il loro tono religioso potessero imporsi persino ad uno spettatore occasionale. In questo modo Carlo Borromeo divenne ben presto “il luminoso modello dell’episcopato post-tridentino”.
Il Cremasco, che dal 1449 apparteneva ai domini della terraferma di Venezia, acquisì un’autonomia, dal punto di vista della giurisdizione religiosa, solo nel 1580 con l’istituzione della Diocesi la cui attività si sviluppò nella sistemazione delle parrocchie e nell’attuazione di norme che i Vescovi cremaschi, tutti appartenenti all’aristocrazia veneziana, imponevano attraverso le visite pastorali. Inoltre la chiesa locale doveva ritrovare nella riorganizzazione concreta degli edifici sacri la dignità auspicata dal Concilio e poiché il territorio cremasco era vicino alla Diocesi milanese, anche se sotto il dominio della Serenissima, subì l’influenza delle regole dettate dal Borromeo e le applicò.
La volontà di rinnovare gli edifici sacri per rinvigorire la religiosità non era venuta meno anche se erano tempi di povertà e di epidemie, così che nemmeno l’interdetto pontificio del 1606 sui territori veneti, arrestò questo processo di rinnovamento, che si consolidò nel pieno Seicento.
Mina Gregori sottolinea che “le più radicali trasformazioni e distruzioni si verificano nelle chiese durante il periodo seguito al Concilio di Trento” e prosegue “Nel Seicento, le opere richieste e gli orientamenti dei pittori non numerosi, ma caratterizzati, che fiorirono nella zona (cremasca), rispecchiano le vicende dei centri trainanti e in particolare l’apice e il declino della pittura milanese...”
Pertanto, tutto quello che avveniva e si faceva a Milano e la diffusione della grande fama del Borromeo erano punti di riferimento anche per la nuova Diocesi cremasca.
Alla fine del Cinquecento, inizia a Crema il rinnovamento di alcune chiese importanti per le quali sarà utilizzata un’architettura in stile manieristico tardo-cinquecentesco e inizieranno i cicli pittorici dei nostri più importanti artisti.
Gli Oratori di Montodine, edificati per intercedere la benevolenza dei Santi protettori del Paese o per ringraziare la Vergine, sono stati costruiti lentamente negli anni e con scarsità di mezzi economici, ma con idee progettuali sicuramente di buon livello.
Queste chiese sono state progettate e realizzate da personalità e maestranze capaci che sapevano operare con professionalità.
Per quanto riguarda il barocco lo scopo principale della ricerca architettonica era di ampliare il patrimonio delle forme linguistiche rinascimentali, non solo come manierismo, ma come innovazione e capacità di dar vita ad una nuova cultura. Si ricercava uno spazio vario e dinamico, in cui le possibilità della luce, capace di effetti variabili, fossero un elemento di progetto. Lo spazio urbano era visto come una grande scena, le facciate delle chiese e dei palazzi diventarono una quinta del contesto urbano, della piazza, della strada.
Se a Roma l’architettura del ‘600 riceve un radicale impulso e rinnovamento per opera di tre personalità di primo piano giungendo alla definizione di nuove spazialità con Bernini, Borromini, Cortona, a Milano e in Lombardia le nuove esperienze linguistico-architettoniche si innestarono su risultati di una tradizione cinquecentesca.
A Milano l’architetto più importante della fine del ’500 sarà Pellegrino Tibaldi, che con i suoi seguaci, eseguirà le opere architettoniche più significative del periodo. Sarà poi con l’entrata in scena di Francesco Maria Richino che l’architettura milanese entrerà nel pieno della fase barocca durante l’episcopato del Cardinal Federico Borromeo, cugino di San Carlo.
Nel Seicento si impone una nuova cultura nella progettazione sia valorizzando il paesaggio nel rapporto tra natura e architettura, sia del costruito della città, con le sue piazze e le sue quinte prospettiche.
In questa concezione l’ambiente naturale è il risultato della storia umana, dove “la natura ha fornito solo il materiale, cosicché nella edificazione di edifici, in particolare sacri, si vengano a creare “luoghi” o “siti” con caratteristiche particolari”.
La stessa cosa è avvenuta a Montodine, dove la linea di crinale, separatrice naturale delle due vallate può essere considerata un luogo simbolico, al quale si riconosce un valore distinto dalla natura, anche se ad essa dedicato. Qui la natura è diventata monumento e il monumento è diventato natura.
Un percorso paesaggistico, che si presenta come un continuum monumentale, è allo stesso tempo bosco sacro, costruito con emergenze significative, dove gli Oratori con i loro campanili fanno da corona e proteggono il paese. È un percorso di testimonianza dove si è verificato un particolare rapporto sia con il territorio sia con il suolo.
La prospettiva antropologica porta a considerare il paesaggio umanizzato a un livello percettivo, oltre che come quadro bello a vedere, come un insieme codificato di segni analizzabili individuando i codici di lettura relativi inseribili nel tipo di cultura del gruppo sociale considerato.
Abbiamo caratteristici esempi di architettura paesistica di questo tipo nella storia dell’arte, in particolare i complessi dei Sacri Monti, frequenti in Lombardia proprio nel Cinque-Seicento. Il più importante è quello di Varese (1604-90), che comprende quindici cappelle o tempietti a pianta centrale, disegnati da G. Bernasconi secondo canoni ancora classicistici, e distribuiti in un percorso con criteri scenografici ed evocativi.
Il Sacro Monte di Varese ha sempre rappresentato un luogo sacro, in epoca romana era una roccaforte militare, all’epoca di S. Ambrogio, fu posto un altare in cima al monte, a ricordo e come ringraziamento della vittoria qui riportata sugli Ariani.
Ma fu in piena riforma e per volere di San Carlo Borromeo, che il monte riacquistò la sua importanza strategica, come baluardo contro le eresie provenienti dal Nord. Alla morte di San Carlo, il Cardinal Federico Borromeo, suo successore, continuò l’opera intrapresa dal cugino e sostenne con entusiasmo il grande progetto delle Cappelle dei Misteri del Rosario che si stava realizzando a Varese e che divenne il più importante centro mariano lombardo.
 
Caratteristiche comuni degli Oratori
Le chiese di Montodine, costruite in posizione elevata ed isolate, sono state posizionate, tranne San Zeno, seguendo l’orientamento est-ovest. Solo le facciate hanno decorazioni: un portale d’ingresso, impreziosito da un timpano sovrastato da una finestra, che dà luce all’altare maggiore. La porta d’ingresso delle chiesette ha un architrave rettangolare, mai ad arco. Ogni facciata ha una coerenza e una proporzione stilistica propria. Anche le piante delle chiese sono di forma rettangolare, fa eccezione San Rocco. Tutte hanno un restringimento nella zona del presbiterio, sopraelevato rispetto alla navata, dove è collocato l’Altare Maggiore. Per accedere all’altare vi sono alcuni gradini, cosicché “il sacerdote possa compiere una piccola processione” e possa essere visto da tutti, come prescriveva San Carlo. Gli Oratori sono sempre completati, anche se in un secondo tempo, da una piccola casetta, che serviva sia da sagrestia, sia come casa per un sacerdote o, in ogni modo, per un custode. Un campanile originale completa lateralmente a sinistra o a destra il luogo di culto.
All’interno il coro, come prescriveva San Carlo, era “separato dal luogo del popolo,... chiuso da cancelli, e... presso l’altar maggiore, ..., si troverà dietro l’altare, perché così richiede il sito della chiesa”.
Tale caratteristica tipologica si riscontra in San Rocco, San Zeno e alla Madonna del Rosario, particolarità che esisteva anche nelle chiese francescane. In S. Rocco e alla Madonna del Rosario il coro è voltato con specchiatura centrale e separato dal resto della chiesa con due aperture, al centro dell’abside sull’altare vi è una nicchia-finestra, dove è posta la statua di dedicazione dell’oratorio. In S. Zeno sull’altare era posta una pala, si deve però dire che la zona del presbiterio è stata modificata alla fine del Settecento, quando alla decorazione originale del ’600 ne fu sovrapposta una nuova.
In queste chiesette, gli altari minori sono sostituiti da due nicchie laterali al presbiterio in cui erano poste le statue o erano affrescate le immagini dei Santi protettori.
Tale soluzione prospettica arricchiva la visione dell’Altare Maggiore, una tipologia questa che troviamo anche nel santuario della Madonna delle Grazie e nell’Oratorio di San Giovanni a Crema.
In tutti gli Oratori, in minima parte in San Rocco, vi sono affreschi eseguiti dai più noti pittori cremaschi.
Le raffigurazioni degli affreschi e le statue sono dedicate a temi religiosi e rappresentano i Santi che più erano venerati nel Seicento: S. Lucia, S. Barbara, S. Caterina, S. Agata, S. Apollonia, S. Zenone, S. Rocco, S. Sebastiano.
Le pareti interne delle chiese sono arricchite da decorazioni e stucchi che riprendono gli elementi architettonici classici: lesene, paraste e cornicioni, decorati in stile dorico, ionico e corinzio.
Tutti questi luoghi sacri, pur avendo una tipologia dettata dagli insegnamenti della Controriforma, hanno una caratteristica autonoma, sono modelli di chiese, che si innestano e creano un percorso verso il fiume Serio. Sono stati costruiti come si progettava nel Seicento, così come era stato fatto al Sacro Monte di Varese.
Tale percorso paesaggistico a Montodine potrebbe essere scoperto e valorizzato con il restauro e l’apertura al culto di tutte le sue cinque chiesette: S. Giovanni in Bocca Serio, Madonna del Rosario e la SS. Trinità a sud del fiume Serio, S. Rocco e S. Zeno a settentrione del paese.
 

Modalità di accesso:

Accesso libero su strada asfaltata

Indirizzo

Contatti

  • Telefono: 0373 66104
  • Email: segreteria@comune.montodine.cr.it

Ulteriori informazioni

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Pagina aggiornata il 04/04/2024