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Un edificio sacro, dedicato a San Zeno, esisteva nel medesimo luogo in cui sorge l’attuale, poiché non si trovano ingiunzioni, rivolte ai rettori della Parrocchia da parte dell’autorità ecclesiastica, di apporre una croce di pietra nel posto in cui un edificio di culto era ormai in rovina o era stato demolito, al fine di salvaguardare la sacralità del luogo, come invece si era verificato per altri due oratori scomparsi, quello di Santo Stefano e quello antico di San Rocco, ormai ridotti a ruderi già al tempo della Visita Apostolica di Mons. Regazzoni nell’autunno del 1582.
Nella relazione della suddetta visita si ordina che l’oratorio di S. Zeno sia chiuso e messo al sicuro.
Nelle successive visite pastorali del Vescovo di Crema Mons. Gian Giacomo Diedo, e più precisamente nel 1592, nel 1594, nel 1595 e nel 1599, il tempio appariva carente di molte suppellettili sacre fra cui i candelabri, il vaso dell’acqua santa e la croce.
Nei primi anni del XVII secolo presero avvio i lavori della nuova costruzione.
Infatti, nel mese di agosto del 1602, nella relazione della Visita Pastorale dello stesso Vescovo, Mons. Diedo, si esortavano gli uomini di Montodine a perseverare nella pia opera della costruzione dell’oratorio. La chiesa fu completata nel 1604; questa data è chiaramente leggibile ancora oggi in cima alla lesena a forma di arco, che orna la parete a cui è addossato l’altare. Nella Visita del 1608 si ingiunge di munire la tribuna del presbiterio di un’inferriata, di dotare l’altare di candelabri, di chiudere le finestre con vetri e di porre un vaso di pietra per l’acqua benedetta.
Nel 1611 si sollecita di nuovo l’adozione delle stesse cose e si ordina inoltre la costruzione di un campanile al quale non manchi una campana. In quel periodo l’oratorio fu ornato anche di affreschi, datati 1607 e 1615, che si trovano tuttora in buono stato sulle pareti laterali vicino alla porta d’entrata; un altro dipinto del 1608, posto sulla parete destra nei pressi della nicchia contenente in passato la statua di S. Zeno, sta affiorando sotto lo strato di calce.
Sopra l’altare, un tempo, faceva spicco la splendida pala del Botticchio raffigurante la Madonna, S. Zeno e S. Rocco, che ora è collocata nella chiesa parrocchiale sulla terza tribunetta, a sinistra, vicino all’entrata.
Nel 1610 s’insediò la Confraternita della Morte e della Preghiera sotto la protezione del Santo Apostolo Giacomo Maggiore, alla quale fu affidata, negli anni seguenti, l’amministrazione dell’Oratorio, che prima spettava a due uomini del luogo, eletti annualmente. Questa Compagnia, i cui affiliati seguivano una regola composta di ventisei capitoli e vestivano durante le cerimonie sacre un saio nero, ebbe una certa importanza nella vita spirituale del paese.
La confraternita era retta da un Priore, da un Sottopriore, da quattro consiglieri e da un Precettore dei neofiti, che rimanevano in carica un anno e ai quali spettava l’amministrazione del sodalizio.
Le risorse, legate alle elemosine che affluivano in modo cospicuo, dato il grande concorso di ammalati al tempio, furono impiegate non solo ad abbellire l’Oratorio con affreschi, stucchi e quadri, ma anche a finanziare in parte la costruzione della Parrocchiale nel sec. XVIII, come lo dimostra la presenza della statua di San Zeno fatta scolpire ed erigere dai confratelli in cima alla facciata allo scopo di incrementare la devozione verso il Santo.
Importanti furono i lasciti testamentari, fra i quali si ricorda quello denominato “Sanguanino”, dal nome di un prete di origine montodinese, che servivano a finanziare la celebrazione della Messa nell’Oratorio durante le festività da parte di un cappellano, che era poi tenuto a prestare il suo servizio pure nella chiesa parrocchiale.
Con il trascorrere degli anni, il ricordo degli obblighi legati a questi lasciti si era affievolito, anche perché la tavola scritta che li conteneva era scomparsa agli inizi del Settecento a causa della presenza di truppe straniere a Montodine, che certamente trovarono alloggio nelle chiese. Questa informazione, riportata nella relazione della visita di Mons. Lombardi del 1755, allude allo scontro presso il fiume Serio tra l’armata imperiale di Eugenio Savoia e l’esercito gallo-ispano del maresciallo di Vendôme. Il venir meno dei documenti scritti poteva ingenerare attriti; a questo proposito, in una petizione inoltrata al Vescovo di Crema da parte dei gestori dell’Oratorio di San Zeno si legge:
“Illmo, e Rmo Vescovo.
Noi Guardiani della Chiesa, o sia Oratorio di S. Zenone eretta sotto la Parte di
Montodine preghiamo, e supplichiamo la Bontà e Carità di Monsig.r Illmo, e Rmo
Vescovo di Crema à far si che il Ro Sig.r D. Pietro Bressanello come Capellano della
Capellania Sanguanina erretta in questo Oratorio debba presentarci il Testamento, et
altre carte Legali concernenti all’istituzione di detta Capellania, perché vogliamo
vedere, se n’ hà d’obbligo di servire anche la nostra Compagnia della Bona Morte eretta
in detto Oratorio in absenza del nostro Capellano, e se cellebra tutte le sue Messe
d’obbligo, come m’impone a’ noi il detto Testamento, atteso, che Noi ne risentiamo
un grave incomodo con fruo de paramenti, e cera, et è molto poco il nostro utile, che
ne ricaviamo, ne molto meno in tempo delle Messe festive non ricaviamo elemosina,
perché il detto Capellano Bressanello non hà mai ora limitata, mà ora presto, ora tardi,
ora dà segno con le campane, ora nò, ora subito sonata la cellebra, non facendosi mai
conto del comodo della nostra Compagnia (benche tante volte pregato, e voluto pagare)
ne meno del Publico stesso. Onde di nuovo supplichiamo la Bontà di V. S. Illma, e
Rma per tal carità, che delle Grazie se ne professeremo mille volte obbligati.
Montodine 25 Maggio 1744”.
La casa annessa alla chiesa era abitata da un eremita, remét in dialetto. Nella Visita Pastorale di Mons. Lombardi si fa cenno a questa presenza.
Nei primi decenni dell’800 si utilizzavano ancora le rendite legate alla sopra citata eredità, anche se i suoi proventi cominciavano ad essere un po’ scarsi, come si evince da un documento del 1836. Poi la devozione verso S. Zeno cominciò a declinare, ma non scomparve completamente fino alla prima metà del ’900 quando era ancora presente nei fedeli.
Durante la seconda guerra mondiale, infatti, venivano collocate ai piedi della statua del Santo le fotografie dei soldati partiti per la guerra.
La chiesa è dedicata a S. Zeno. Il santo veronese vescovo e martire, morto nel 380 il 12 aprile (è il giorno del calendario dedicato al santo), la cui vita è avvolta nella leggenda e le notizie a noi pervenute sono molto confuse.
Secondo Gregorio il Grande e diversi martirologi subì il martirio, ma negli antichi messali veronesi è onorato solo con il titolo di confessore. Anche la sua origine è controversa, alcuni lo fanno nascere in Grecia, altri in Africa. La biografia più accreditata lo fa nascere a Verona. Battezzò un gran numero di pagani e si oppose con successo alla diffusione nella sua diocesi dell’Arianesimo. Istruito dai suoi precetti e dal suo esempio si dice che, il popolo di Verona, divenne così generoso da lasciare libero accesso alle proprie abitazioni a tutti i poveri e bisognosi. Combatté gli abusi, le intemperanze e la vanità ed incoraggiò le fanciulle della sua città a consacrarsi a Dio, entrando in un monastero da lui fondato o vivendo in castità nelle loro case. Eletto vescovo della città, fu pastore esemplare oltre che perfetto del suo gregge.
Nelle opere d’arte, fin da quelle più antiche, San Zeno è rappresentato con un pesce in mano. Questo curioso simbolo ha un doppio significato. San Zeno aveva rinunciato a tutte le ricchezze, per distribuirle ai poveri. La leggenda narra come il santo e umilissimo vescovo fosse solito pescare egli stesso nell’Adige il magro cibo per i suoi pasti frugali. E’ perciò patrono dei pescatori d’acqua dolce, il simbolo del pesce ricorda anche una frase di Gesù, detta agli apostoli prima di inviarli in tutto il mondo a battezzare e a predicare il Vangelo: “Sarete pescatori d’uomini”. Anche San Zeno, come gli apostoli, fu pescatore infaticabile di Anime.
Se osserviamo l’architettura di San Zeno vediamo che ha una facciata di disegno semplice con timpano triangolare in stile cinquecentesco, riprende il linguaggio di molte chiesette, oratori e santuari che impreziosiscono la campagna cremasca, ma in particolare del Santuario delle Grazie e dell’Oratorio di S. Giovanni in Crema.
Il portale ha un timpano spezzato con al centro un bassorilievo con una croce e teste di cherubini. Appena sopra vi è una finestra tripartita a semicerchio in stile cinquecentesco. Tre pinnacoli di gusto veneto sono posti sopra il frontone triangolare. Ad
ovest, nell’arcata centrale si apre sulla porta laterale una finestra come in facciata, sul lato est della chiesa, la finestra simmetrica originaria è stata tamponata quando si provvide a dotare il luogo sacro di un organo. Lateralmente sulla sinistra la chiesa è affiancata da una casa che reca, in facciata, il segno dell’appartenenza alla Serenissima; è ancora presente, a lato del portoncino d’ingresso, il rombo in cui era segnata la numerazione civica. La casa, ingloba la sacrestia e poi si innalza con la tipologia caratteristica delle case di campagna: vi è un primo piano e un sottotetto con copertura a due falde, che sale in modo autonomo rispetto alla copertura del coro della chiesa; quest’ultimo, infatti, si presenta a falda unica, forse per recuperare uno spazio abitabile sopra il presbiterio.
La chiesa ha un campanile originale, simile a quello della chiesa di S. Rocco a Soresina, la cella campanaria prende luce da quattro serliane ed è sormontata da una cuspide a forma di monte.
La chiesa è a navata unica, rettangolare, scandita da tre volte a crociera. A lato delle tre campate si aprono sei cappelle, sormontate da volte a botte. Delimitato da un arcosolio e da una balaustra, il presbiterio, rientrante rispetto alla navata e con volta
a crociera, è preceduto da tre gradini.
Il coro di S. Zeno, ambiente posto dietro l’altare, pone alcune riflessioni. A pianta rettangolare e volta a botte, rivela, nella struttura e nella tessitura muraria, aggiunte successive al primo impianto tipologico ed ha l’orientamento est-ovest. Il cornicione della volta del coro ha sagome diverse rispetto al cornicione che adorna la navata della chiesa. Vi è, inoltre, la presenza, sul lato sud del coro, verso l’abside e il presbiterio, di due finestrelle rettangolari, speculari, ma non coincidenti alle due aperture di comunicazione con il presbiterio. Tali aperture interrompono la continuità di una pittura murale in cui è rappresentata un “Ultima Cena”. Sotto la pittura murale, vi è una feritoia orizzontale, che permetteva il controllo visivo della navata. Il coro era la chiesa preesistente, di cui si parla nelle visite pastorali, o semplicemente questo locale venne ridefinito quando si costruì il campanile – non ancora presente nel 1611 – a cui fu aggiunto un piccolo locale quadrato, confinante con la base della cella campanaria.
Il coro serviva, oltre che per le riunioni della Confraternita, come refettorio.
Normalmente l’Ultima Cena veniva dipinta nei locali dove si consumavano i pasti, tale funzione può essere confermata dalla presenza del piccolo locale comunicante dove vi è un lavandino.
Dal presbiterio sulla sinistra si accede alla cella campanaria. Con una piccola scala in muratura si sale alla torre. Dalla parete destra del presbiterio si accede ad una bella sacrestia di impianto quadrangolare con volta e specchiatura centrale arricchita
da lunette sui quattro lati.
La chiesa è divisa tra la navata e il presbiterio, oltre che dalla balaustra, da un arco trionfale riccamente decorato. Al centro del presbiterio vi è l’Altare Maggiore in muratura con mensole in legno decorato e, a fianco della balaustra vi sono due nicchie,
in stile settecentesco, dove erano collocate altrettante statue. Un altarino, a forma di urna, completa la decorazione delle nicchie adornate da angioletti e stucchi policromi.
I pavimenti della navata e del coro sono in piccole tavelle rettangolari in cotto disposte a spina di pesce; ai lati della navata, nelle cappelle, i cotti sono disposti a correre, in modo da creare una cornice alla navata stessa. Il pavimento della sacrestia, che doveva essere simile a quello della chiesa, è stato ricoperto da una pavimentazione cementizia.
La chiesa, costruita molto regolarmente, oltre che con affreschi, pitture murali e stucchi ora già visibili, nasconde sotto uno scialbo altre preziose decorazioni. Si intravedono composizioni con figure, ma anche quadrature e intonaci in stucco marmorino.
I dipinti delle cappelle sono devozionali perché la chiesa di San Zeno era santuario, meta di pellegrinaggio e luogo sacro di richiesta e concessione di grazie.
Al suo interno erano appesi anche molti ex-voto ora depositati in Parrocchia.
Prima Cappella a destra entrando dalla chiesa. La cappella è quasi completamente dipinta ed è ripartita in tre quadrature. Nella quadratura centrale è rappresentata la Madonna, avvolta in un manto azzurro, mentre allatta il Bambino, alla sua destra vi è S.Pietro con in mano una grande chiave e alla sua sinistra S.Domenico che tiene con la mano un libro e con la mano sinistra sorregge una chiesa con campanile. La scena si svolge all’ombra di un grande albero con elementi paesaggistici simbolici e significativi in cui si possono riconoscere segmenti di prato, di sentieri, di rocce, di acque e di colline in un’atmosfera mattutina di aurora velata di rosa e azzurri. Ai lati della scena del riquadro centrale, due nicchie dipinte completano la quadratura con la raffigurazione a sinistra di Santa Lucia e a destra di S. Caterina d’Alessandria. Santa Lucia tiene nella mano destra il piatto con gli occhi e nella mano sinistra la palma del martirio. Santa Caterina si appoggia con la mano destra alla ruota dentata e tiene nella mano sinistra la palma del martirio.
Alla base della raffigurazione vi è una scritta:
“B.L.F.F. AUGUSTINUS BERNARDUS E JOV. ANGELUS DE GANDELLIS FECERUNT. FIERI 1607 DOMENICA GUARINETTA F.F.”
Le figure di S. Lucia e di S. Caterina sono simili tipologicamente e linguisticamente, eseguite però in controparte, al dipinto presente su una parasta dell’Oratorio S.Giovanni in Bocca Serio, affrescata da Tomaso Pombioli.
Sulla parasta tra la prima e la seconda cappella, in un riquadro rettangolare, è dipinto S. Francesco con le stigmate, che tiene nella mano destra un Crocifisso e, nella sinistra, un libro chiuso. Alla base della figura una scritta con il nome del committente:
“ISARETTA MOLIE DI ZAIACOMO DALLA TOR AF. F.”
Seconda Cappella a destra. In questa cappella è stata inserita una cantoria con organo in legno. Una cantoria grande, in origine decorata con cornici, attualmente spoglia.
Sulle pareti laterali sotto uno scialbo s’intravedono quadrature dipinte. Al centro, sotto la cantoria si apre un portoncino che immette sotto un portichetto e nel circostante paesaggio con orti.
Terza Cappella a destra. Nella cappella ricoperta da uno scialbo bianco si vedono lacerti di buona pittura a fresco raffiguranti una possibile Crocifissione. Le figure non sono identificabili con l’iconografia tradizionale. Sembra di intravedere tre figure, la Maddalena ai piedi della Croce, sulla sinistra S. Giovanni e sulla destra una signora, riccamente vestita con la corona sul capo e la palma del martirio, forse S. Elena. Attualmente non si vede la Madonna. Alla base del dipinto una scritta:
“N ET P FRATRES AB OCULO EX DEVOTIONE PINGI CURA(VE)RU(N)T 1608”
Prima Cappella a sinistra entrando dalla chiesa. La cappella, forse in origine divisa in specchiature come la cappella di fronte, è ora dipinta solo al centro. Sopraelevata in una nube dorata è raffigurata la Madonna, che sorregge un lenzuolino e affida Gesù Bambino a S. Antonio da Padova, inginocchiato di fronte alla Vergine. Sul lato sinistro S. Antonio Abate, eremita, vestito con un saio monastico e con nella mano destra un bastone alla cui sommità un ovale reca la scritta “CHARITAS”. Le figure sono legate da elementi naturalistici, rocce, ruscelli, fiori, alberi e un cielo rivolto a settentrione illuminato da luna e stelle. Alla base del dipinto, inciso nella roccia la data del dipinto 16IS (1615).
Tra la prima e la seconda cappella sulla parasta è inserita una bella nicchia decorata con composizioni a stucco dipinto, sorretta da quattro angioletti in stucco a tuttotondo, al suo interno era posta, in origine, una piccola statua raffigurante la Madonna.
Seconda Cappella. La cappella ha al centro una porta laterale e nell’arco una finestra tripartita, le pareti non presentano attualmente decorazioni, anche se si vedono colorazioni sotto la pittura a calce.
Terza Cappella a sinistra. Anche questa cappella è ricoperta da uno scialbo, si notano ombre che fanno presumere la presenza di decorazioni. In questo vano era stata collocata nel 1863, secondo una nota dell’archivio parrocchiale, la pala dell’Annunciazione di Tomaso Pombioli. Un arcosolio decorato da stucchi dipinti separa la navata dal presbiterio. Tale separazione, oltre che dalla balaustra in marmo con colonnine e pilastrini intarsiati di elegante fattura, è sottolineata dalla presenza di due altarini con nicchia e urna dipinta in stile settecentesco. Nella nicchia di destra era posta la statua lignea di San Zeno, ora conservata nella Parrocchiale di Montodine, in quella di sinistra la statua del Cristo risorto, ora presente nell’oratorio della Madonna del Rosario. Le nicchie, simili nell’impianto architettonico, si differenziano nella decorazione a stucco. Entrambe sono arricchite, oltre che da ghirlande di foglie e fiori, da cornici architettoniche e testine di cherubini. Quattro angioletti a tuttotondo fanno da guardia alla nicchia stessa, due sono posti sulla mensola della base della nicchia e reggono un candeliere, mentre altri due, seduti sul cornicione, completano la cimasa. Nella fessura tra la terza Cappella a destra e l’altarino-nicchia si vede la decorazione seicentesca di una figura, parte di un braccio ricoperto da tunica rossa.
Il presbiterio si presenta interamente decorato. Tale sistemazione sicuramente è stata eseguita più di un secolo e mezzo dopo la costruzione della chiesa. Lo stile e il gusto sono settecenteschi così come le date riportate e leggibili nei cartigli. Nella zona dell’altare fu costruito un tavolato sottile di tavelle - come si può vedere negli sfondati delle due finestre del Coro - sul quale fu eseguita la decorazione.
La mensa, a cui si accede con un gradino in cotto, è in muratura dipinta con cornici e disegni in finto marmo, mentre la parete absidale è decorata con una scenografia prospettica di finte architetture. Quattro colonne di marmo verde, completate da capitelli dorati, poggianti su uno zoccolo sorreggono una trabeazione che a sua volta sostiene una semicupola concava, rappresentante un cielo stellato, anch’essa arricchita da cornici, cartigli e vasi. La prospettiva di facciate di palazzi con finestre e balconate, nella profondità degli elementi architettonici, è dipinta a colori monocromi. In tempi recenti (sec.XX).
sono state inserite due figure monocrome rappresentanti, sulla destra, la Fede, una donna appoggiata ad una croce con in mano una fiaccola, sulla sinistra, la Speranza, una donna appoggiata ad un’ancora. Al centro di questa grande scenografia era appesa la pala d’altare raffigurante la Madonna con i Santi Zeno e Rocco di Giovanni Battista Botticchio (ora nella Parrocchiale). Le due pareti laterali del presbiterio sono dipinte in modo simmetrico e creano un completamento delle architetture della scena centrale. Vi sono prospetti architettonici con finestre a semicerchio impaginate in finte lesene con capitelli sovrastati da terrazze, balaustre e vasi di fiori su colonnine, nella parte alta della lunetta della crociera, una grande finestra con cornici riempie lo spazio a semicerchio.
Il fregio del sopraporta verso il campanile reca la scritta dell’autore della decorazione parietale:
“SONAZZI PINXIT MDCCXCII “ (MDdi difficile lettura, ma intuibile) “SONAZZI dipinse 1792”. (La “S” potrebbe essere anche una “B”).
La decorazione del presbiterio appare, a somiglianza di altre del Cremasco, vicina alla scuola dei Galliari. Il dipinto sopra l’altare, si nota con facilità, è una riproposizione della decorazione dell’altare del Crocefisso della Parrocchiale di Montodine di Fabrizio Galliari, mentre le pareti laterali con modanature ornamentali, rivelano un mondo ormai trasformato verso la severità o la regolarità introdotte da una ritrovata classicità caratteristica di Orlando Bencetti, allievo e collaboratore dei Fratelli Galliari.
Fabrizio Galliari nella Parrocchiale di Montodine nel 1760 dipinge due cappelle, altre due cappelle sono dipinte da Orlando Bencetti nel 1782.
I dipinti dell’Oratorio di San Zeno datati 1792, firmati Sonazzi o Bonazzi, si possono far risalire allo stile della scuola di Treviglio.
Le pitture murali, ex-voto, eseguite appena dopo la costruzione dell’Oratorio di S.Zeno, nei primi due decenni del Seicento, sia quelle ora visibili, sia quelle non ancora svelate, alla fine delle operazioni di restauro potrebbero rivelare l’autore. La datazione dei dipinti, la composizione delle scene e la varietà cromatica fanno supporre l’appartenenza delle decorazioni della navata della chiesa all’opera giovanile di Tomaso Pombioli, nato intorno al 1579 e già attivo come pittore ai primi del Seicento, o alla sua cerchia.
Il Coro, oltre ai lacerti dipinti in cui è possibile vedere la rappresentazione dell’Ultima Cena, non presenta altre decorazioni così come le pareti della Sacrestia.
Nell’Oratorio di San Zeno vi sono le rappresentazioni di scene religiose e di Santi, su cui la Chiesa ha fondato le basi della fede cristiana, sono raffigurati la maggior parte dei Santi più venerati e conosciuti nella Diocesi di Crema.
All'interno sono deposte le reliquie dei santi Illuminato e Costanza e dei santi Innocenzo e Venturina con tanto di sigillo di approvazione papale di autenticità.
Acesso libero su strada asfaltata
Pagina aggiornata il 04/04/2024